In questo modello familiare l’espressione e la comunicazione delle emozioni sono assai carenti o addirittura assenti. Le emozioni fanno paura, si cerca di controllarle reprimendole o trasformandole in atteggiamenti più rigidi e mentali, ad esempio la critica o l’imposizione di principi morali. Nella famiglia anaffettiva mancano atteggiamenti di intimità relazionale, il dialogo si mantiene su registri cognitivi o superficiali, l’eventuale malessere viene ridimensionato o ignorato. In alcuni casi vi è l’esplicita stigmatizzazione dei vissuti emotivi che possono trasmette un’idea di vulnerabilità; la possibilità di sentirsi fragili non viene accettata, la perdita di controlli sui propri stati interiori è considerata pericolosa. Prevale quindi una modalità controllante, spesso giudicante nei confronti di chi al contrario esprime la propria emotività.
Ciò rende difficile una reale connessione tra i componenti della famiglia, poiché venendo a mancare il linguaggio emotivo si perdono molte informazioni sui bisogni di ciascuno, e negli scambi relazionali è più difficile interpretare correttamente le intenzioni dell’uno e dell’altro, così come le azioni. La famiglia anaffettiva si trova in difficoltà quando i meccanismi di difesa a cui in genere fa ricorso – razionalizzazione, intellettualizzazione – non sono sufficienti. A quel punto cerca di neutralizzare le emozioni evitando di affrontarle o trattandole come fossero sbagliate, ma questo genera un circolo vizioso che fa aumentare il distacco.