Poiché la psicoterapia è una relazione tra due esseri umani, un’emozione che può emergere durante il percorso è la rabbia.

 

Cosa può far arrabbiare il paziente?

 

Il paziente vive nella relazione col terapeuta dinamiche molto simili a quelle che caratterizzano le sue relazioni e le sue esperienze quotidiane. E’ probabile perciò che se ci sono atteggiamenti o comportamenti che lo fanno arrabbiare fuori dallo studio di psicoterapia e se il terapeuta fa qualcosa che sembra ricordarli, il paziente sperimenti nel corso della seduta un fastidio, un’irritazione o una vera e propria rabbia nei confronti del clinico. Talvolta la sensazione può essere quella di non ricevere ascolto, che il terapeuta sia distratto, che non comprenda i bisogni e i malesseri del paziente. Quest’ultimo può provare fastidio per le caratteristiche del contesto terapeutico (rumoroso? disordinato? poco intimo?) o per alcune modalità del terapeuta (ritardatario? assonnato? sbrigativo?); naturalmente parliamo di eventi negativi che non dovrebbero mai verificarsi in una psicoterapia, ma i terapeuti sono esseri umani e alcuni di loro possono incorrere in errori di superficialità o disattenzione. In altri casi non vi sono anomalie oggettive nel contesto terapeutico o nel comportamento del clinico, bensì vissuti soggettivi che si riattivano nel paziente per le attribuzioni di senso che egli compie all’interno della relazione terapeutica. Un paziente che nella sua vita non si è mai sentito ascoltato, che proviene da una famiglia poco attenta ai suoi bisogni, può avere la sensazione che il terapeuta non lo consideri con la necessaria cura; coloro la cui storia è stata segnata da maltrattamenti, trascuratezza affettiva, situazioni che hanno messo in pericolo la loro incolumità emotiva o fisica, possono sperimentare nella relazione terapeutica sentimenti di paura, temere che il terapeuta li attacchi o interpretare in questo modo atteggiamenti che nelle intenzioni del clinico avevano un significato diverso.

 

E’ fondamentale precisare un aspetto.

 

Il paziente non prova queste emozioni perché se le inventa o perché è matto; egli proviene da esperienze di vita nelle quali è accaduto veramente che non fosse ascoltato o che subisse maltrattamenti psicologici, perciò non è minimamente in discussione il valore di queste percezioni. Il paziente non sta inventandosi un malessere che non esiste né sta amplificando in modo esagerato la portata emotiva dei suoi vissuti. Precisare questo aspetto è fondamentale poiché alcuni pazienti possono avere il timore o la sensazione di non ricevere dal terapeuta un adeguato riconoscimento della propria sofferenza.

 

Cosa succede se il paziente si arrabbia?

 

La risposta è molto semplice: aiuta se stesso e il terapeuta a fare un lavoro di terapia migliore. Se il paziente si sente ferito da un comportamento del terapeuta, se non accetta un rimando che gli è stato fatto o ha la percezione di vivere con disagio la relazione terapeutica, è molto importante che esprima queste emozioni. Il clinico saprà accoglierle, dare ad esse un significato e un riconoscimento positivi, e insieme potranno inserire questi vissuti all’interno di un quadro più ampio, nel quale la rabbia del paziente diventa un elemento prezioso per comprendere quali sono le ferite che devono essere sanate.

 

Chi volesse ricevere maggiori informazioni per intraprendere una psicoterapia può contattare il Dott. Gianluca Frazzoni Psicologo Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, chiamando il numero 340/1874411 o scrivendo all’indirizzo email info@psicoterapiaemilano.it, e fissare un primo consulto gratuito presso il suo studio di Milano.


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